Si definiscono con questo termine le alterazioni dei rapporti, della forma e della funzione dei componenti articolari dell’anca: la testa del femore e il cotile o acetabolo; tali disordini articolari iniziano durante la vita intrauterina del bambino ed evolvono nei primi anni di vita da qui la definizione di displasia evolutiva dell’anca.
Quali sono le cause
La causa determinante è sconosciuta. Si accredita l’ipotesi che ad un terreno predisponentecome la presenza di una marcata lassità legamentosa e capsulare, magari indotta da enzimi attivi nella madre nel periodo finale della gravidanza, si associno particolari posizioni assunte dal feto come la presentazione podalica o un lungo impegno nel canale del parto con le anche addotte e marcatamente flesse.
Come si manifesta
Nel neonato non presenta sintomi evidenti.
Nel bambino che ancora non cammina si manifesta con una lussazione parziale (sublussazione) o completa dell’articolazione. La stessa si presenta con un accorciamento della coscia corrispondente (facendo piegare le ginocchia al bambino appoggiato sul dorso si può notare che le due ginocchia non sono allo stesso livello), con un’ asimmetria delle pieghe cutanee della natica, con una difficoltà nel divaricare.
Quando il bambino comincia a camminare l’effetto del peso corporeo tende a lussare l’articolazione, producendo un accorciamento dell’arto corrispondente e quindi una zoppia.
In età adulta, se l’anca è lussata, i problemi sono più spesso a carico della colonna (iperlordosi) e del ginocchio (valgo), che vengono costretti ad un sovraccarico funzionale di compenso. Se l’anca è sublussata o con displasia residua il paziente può sviluppare precocemente un’ artrosi severa, che a differenza di quella primaria comporta grave limitazione della rotazione esterna e un marcato accorciamento dell’arto.
Come si effettua la diagnosi
La diagnosi neonatale di displasia dell’anca è essenzialmente clinica ed ecografica, anche grazie all’ uso routinario dell’ecografia come mezzo di screening perinatale della LCA. Infatti la testa femorale inizia a ossificarsi, e a comparire dunque in un’eventuale radiografia, solo attorno al 5° mese di vita.
A tale proposito va comunque ribadito il concetto che l’ecografia non andrebbe mai eseguita prima dei 60 giorni di vita in quanto un esame condotto troppo precocemente non ci mette del tutto a riparo da falsi negativi.
È stato infatti dimostrato che anche normali alla nascita, proprio per l’associazione di quelle cause endogene ed esogene possono “positivizzarsi” al mese di vita, rischiando di non essere individuate, forti di un esame negativo eseguito pochi giorni dopo la nascita.
Nell’adulto l’esame clinico e la radiografia dell’anca in due proiezioni standard sono solitamente sufficienti a dimostrare gli esiti della displasia. Solo in previsione di un intervento chirurgico può essere utile completare la valutazione con alcune proiezioni radiografiche speciali (proiezione di falso profilo, anteroposteriore con anca in abduzione) o addirittura con una TAC.
Quali sono le cure
In età neonatale la cura della displasia è incruenta e porta a risultati ottimi nel 95% dei casi. Essa consiste nel mantenere gli arti del bambino aperti e lievemente intraruotati, portando in tal modo l’estremità superiore del femore, che tenderebbe a sfuggire, in perfetta centrazione rispetto al cotile. Per ottenere ciò, ci si serve di apparecchi ortopedici che prendono il nome didivaricatori.
Raramente si ricorre a riduzione cruenta associata ad osteotomie femorali o pelviche.
Il paziente adulto displasico deve cercare in ogni modo di prevenire l’evoluzione artrosica, che è particolarmente rapida per le anche sublussate e per quelle centrate affette da una grave displasia residua. E’ importante mantenere un basso peso corporeo; l’attività fisica non è sconsigliata ma è bene sostituire le attività che gravino sugli arti inferiori, come la corsa, con sport che consentano di scaricare le anche, come il nuoto. Il mantenimento di un buon tono muscolare gluteo attraverso esercizi mirati può contenere o persino neutralizzare la tendenza alla claudicazione.
Nelle anche displasiche centrate, in cui vi sia un’importante displasia residua ma ancora nessun segno di degenerazione artrosica, sono possibili interventi chirurgici correttivi, quali leosteotomie di riorientamento. Quando l’anca sia ormai artrosica e dolorosa, la protesicostituisce l’unica soluzione realmente efficace.